Il turismo in Italia è fermo e lo sarà completamente per mesi e prima di ritornare ai livelli pre crisi probabilmente per tempi ancora più lunghi.
Questa pandemia cambierà per parecchio il comparto turistico soprattutto per il crollo della fiducia dei viaggiatori nel viaggiare come prima e anche negli stati che limiteranno per tanto tempo gli accessi. Riprenderemo una sorta di tranquillità quando ci sarà il vaccino ma rimarrà l’angoscia per una cosa che è accaduta e che in futuro potrà ripresentarsi.
In questo contesto il turismo è a un punto morto: senza prospettive certe e con un presente terribile prova a immaginare il proprio futuro tentando di sopravvivere oggi.
Tantissime iniziative si accavallano, nate dalla buona volontà degli operatori e dei potenziali turisti, tutte volte a riportare fiducia e magari un po’ di liquidità al comparto.
Perché si è già capito che, tolte le lodevoli ma poco concrete iniziative di supporto morale, dal Ministero e dalle Regioni il supporto economico a queste realtà produttive sarà alquanto improbabile che arrivi.
E allora che fare?
Con Matteo Grandi abbiamo provato a supportare l’idea di #IoRestoInItalia che non è una idea originale o la panacea di tutti i mali ma solo un pretesto per un ragionamento e una sensibilizzazione ampia e condivisa con la speranza che diventi appunto un catalizzatore di iniziative anche già avviate.
I fatti sono che i turisti stranieri quest’anno in Italia non verranno.
La stagione turistica quest’anno sarebbe dovuta partire a Pasqua (12 aprile) quando solitamente (a parte i territori con turismo per tutto l’anno come le città d’arte) comincia a metà maggio per finire a metà ottobre.
Il turismo italiano vive di flussi concentrati e di masse e capite bene che in queste condizioni (a prescindere dalle restrizioni di legge) sarà difficile che un turista recuperi la fiducia per ritornare in Italia in aerei o navi affollate, in villaggi, alberghi, città e spiagge affollate.
Per inciso anche noi italiani saremo nelle stesse condizioni con l’aggravante che all’inizio non saremo esattamente graditi all’estero perché visti come potenziali untori.
In questo contesto l’unica speranza per il turismo italiano è quello di riconvertirsi TEMPORANEAMENTE per i flussi interni e di prossimità in una stagione di transizione prima di poter ripristinare i flussi dall’estero.
Cosa significa questo? Significa un mercato interno in un periodo economico depresso quindi vacanze in macchina o treno (modalità protetta), piccole strutture, weekend o esperienze anche in giornata.
Significa interessare tutte le filiera del turismo in tutti gli aspetti determinanti a comporla, come la cultura, l’enogastronomia, i servizi e le mille sfaccettature che creano e strutturano un prodotto turistico.
Quindi pensare a un prodotto snello, versatile, abbastanza economico, che gestisce piccoli flussi ma costanti.
Significa quindi ripensare a un modello turistico TRANSITORIO per superare la crisi e gettare le basi per tempi migliori.
La domanda successiva è il come.
È chiaro che le strutture che lavorano su grandi numeri soffriranno e non potranno probabilmente convertire o adattare il modello ma qui siamo a un momento di crisi senza precedenti e come tale va affrontata.
Quando cambia la domanda l’offerta può provare a cambiare per intercettarla o resistere e provare a trovare nicchie di domanda che possano trovare interessante l’offerta stessa (solitamente con una redditività maggiore perché esclusiva).
La morale è che bisogna (in maniera transitoria) cambiare l’offerta ritagliandola su esigenze che per forza di cose saranno diverse.
La ricerca di esperienze meno affollate diventeranno un mercato richiesto e interessante: cammini, wellness, turismo attivo, escursionismo, sport, enogastronomia, cultura al di fuori dei percorsi popolari, riscoperta delle storie minime, delle tradizioni e dei luoghi meno conosciuti.
Un turismo appartato contrapposto al turismo affollato dove ritrovare anche il senso della scoperta senza la coreografia spesso inutile di masse distraenti.
E il turismo non è solo limitato alle notti fuori casa ma a tutte quelle esperienze che permettono di conoscere al di là della propria quotidianità. Turismo è visitare anche il museo della nostra città e andare a mangiare in quel ristorante sul colle, comprare nei negozi artigianato, prodotti tipici, servizi, passeggiare per vie sconosciute, fare sport o un corso di cucina o di lingue: provare a vivere da turisti i propri territori usufruendo dei servizi che solitamente sono fruiti dai turisti stessi.
Non solo, questa è anche l’occasione per ripensare completamente il modello per crearne uno nuovo, dove elementi come la sostenibilità e la rete di prodotto diventino davvero elementi fondanti del prodotto stesso e non argomenti utili per convegni e corsi di formazione.
Strutturare il prodotto significa collegare tutti gli attori, significa essere presenti sul mercato insieme senza protagonismi ma ognuno per il suo pezzetto, significa innalzare il livello generale che negli ultimi anni ha solo lottato per sopravvivere nella lotta dei prezzi imposta dalle OTA.
Ritornare alla centralità del turista ritagliando l’esperienza di viaggio sulle sue esigenze.
In questo contesto le certezze normative devono essere un faro. Trovo infatti curioso che si continui a ignorare l’extra alberghiero abusivo come se fosse fisiologico che esista in tale forma. La legalità è un obbligo morale oltre che normativo. E nel momento nel quale emerge questo va strutturato e trattato come qualunque prodotto turistico. Privarsene significa lasciare ai singoli un potenziale di accoglienza che si sovrappone malamente all’accoglienza alberghiera: distinguerli nettamente mette in condizione il turista di scegliere per il meglio secondo le sue attese.
Il come è il problema, perché non esiste un soggetto autorevole che abbia anche il carisma (e sopratutto la credibilità) per mettere insieme tutti questi attori e portarli a una strategia comune.
Perché il turismo (e la cultura) sono sempre ottimi argomenti di conversazione ma diventano un qualcosa da lasciare sempre in secondo piano dietro argomenti più importanti, sempre seconda, terza o ultima scelta degli investimenti.
E non bastano le campagne social, gli appelli, le visite virtuali e le promesse. Non vorrei fosse il primo comparto a soccombere di storytelling, insomma.
Servono investimenti, regia, visione, azioni.
Subito, aggiungo.
Ma noi cosa possiamo fare, in concreto?
Dato che la competenza del turismo è regionale auspicherei azioni regionali (da coordinare poi a livello nazionale) per iniziare a pensare a un nuovo modello transitorio per proporre pacchetti, azioni di sensibilizzazione locale, incentivi, voucher aperti, biglietti unici, eventi diffusi, rassegne tematiche diffuse. Modalità per permettere di ritornare gradualmente alla socialità traumatizzata dalla pandemia e anche il piacere di vivere i propri territori con lo spirito del turista e non solo del cittadino stanziale.
Quando?
Saranno ancora tempi di quarantena, chiusi nelle nostre case a pensare al drammatico presente e all’inquietante futuro. Ecco, proviamo a progettarne uno sereno, di futuro.
Seguiamo meno dirette di svago e proviamo a farne qualcuna per raccogliere le idee e fare progettazione partecipata.
Regione per regione, con le associazioni, gli operatori e chiunque abbia a cuore questo comparto è forse il momento di fare degli Stati Generali del Turismo diffusi per capire come uscire concretamente da questa situazione.
L’alternativa è aspettare che questo finisca e affrontare la situazione appena ci si potrà muoversi nuovamente ma è pericoloso. Tante volte abbiamo aspettato e siamo stati travolti dagli eventi e da destinazioni che prima di noi hanno pensato alle contromisure.
Quando si riaprirà chi meglio avrà progettato e investito avrà un vantaggio competitivo: proviamo a non essere gli ultimi anche questa volta.
[…] Turismo e Cultura morenti, pensare al futuro oggi per essere pronti domani […]